GIANCARLO GELSOMINO


Testo Critico per la mostra Presenze 1992

GIORGIO MANGONE
Scrittore d’Arte


Nel tentativo di sviluppare un’analisi di collegamento tra la mentalità, il modo di essere di Giancarlo Gelsomino e il contenuto della sua opera, al fine di assolvere il compito di commentare la sua arte, ho subito avvertito che un processo di razionalizzazione avrebbe rappresentato il peggior metodo per accedere ai suoi ideali.

Avvicinandomi a lui ho dovuto tralasciare ogni intento strategico di rapportare, di motivare, e solo allora sono stato travolto, nutrito senza dover cacciare, dal suo significato artistico: ho capito che è proprio la logica determinazione – quella che ci ha condotti fino al ventesimo secolo, quella che (come egli stesso dice) “ci sta distruggendo”- l’imput primario che genera la sua opera attuale.

Quallo di Gelsomino è un messagio tangibile, di immediato sviluppo espressivo, i cui valori originali sono trasportati non solo attraverso le sue opere di scultura e pittura, perciò pericolosamente solitario. Egli è infatti uno di quegli uomini che ha avuto il coraggio di ritrovarsi solo davanti al mondo, quel mondo che l’uomo non ha ancora imparato a gestire ma che nonostante ciò continua a manipolare confusamente, schiacciato sempre più da miraggi che l’odierna civiltà usa ancora arcaicamente come oppio per poter continuare: miraggi come quello del potere, tra simili e sulla natura.

Il mondo che Gelsomino vede si traveste tutti i giorni di benessere e cultura ma poi, durante ogni notte, soffre come il più disperato dei poveri, brancola come il più ingenuo degli ignoranti.
Non è ancora tempo di libertà, non lo è mai stato, l’uomo non c’è ancora arrivato. Niente di meno preoccupante se si potesse pensare che un giorno quel tempo verrà. Ma è vero che verrà o l’uomo ha già bruciato il mondo (culla di se stesso) e nel suo destino non è iscritta la parola “liberta”?

Si provi a immaginare quanto potrebbe essere agghiacciante il dover constatare che “è troppo tardi”, che “non c’è più niente da fare”… Ecco, è in questo allarmante contesto che Giancarlo Gelsomino ha rivolto la sua maturità artistica e umana. Eli ha scelto di ripugnare ogni ogni oppio e quando lo ha fatto si è ritrovato solo, in un raro vivere lucidamente, in un convivere con la piena coscienza delle cose,… alla ricerca di una propria dimensione, quella che solo lui può darsi: la sua arte.

Legato al discorso morale di Gelsomino vi è una singolare tenacia e sapienza produttiva.
Che egli sia legato e creda al passato è evidente già dal periodo dei panneggi di studio, attraverso i quali evidenzia a se stesso lo stretto collegamento fra il rappresentativo dettagliato della forma e il sintetismo moderno. Ma anche in seguito, negli anni successivi, l’opera di Gelsomino no smette mai di considerare l’elemento storico come una delle componenti basilari del proprio evolversi.

Per l’artista questo è quasi un romanticizzare, un rievocare i momenti di quando l’umo era meno costruito, maggiormente puro; e lo si nota nel suo sovente richiamo al mondo tribale e nell’uso appassionato di materiale povero, crudo, nella continua “presenza” naturale.

Nell’opera di Gelsomino ci sono momenti in cui il piacere dell’esecuzione si mescola a quello del risultato finale. A volte, proprio a causa di usa esigenza tutta interiore, il primo memento predomina il secondo e il rapporto si fa subordinato: qui non basta più guarare l’opera nel suo aspetto estetico per coglierne l’interno significato. Qui occorre infatti immaginare anche il memento in cui egli la crea: il momento in cui egli ha bisogno di scavare o di ricoprire, piuttosto che di pensare come andrà a finire.

Sono questi elementi che riconducono alla concretezza del carattere di Gelsomino, alla sua esasperata praticità.

Da un po’ di tempo l’artista ha provato il gusto di puntinare, di rivedere l’immagine dell’Universo proiettata a livello molecolare, così come ha assorbito dall’arte (cultura, vita) aborigena. Il recente scambio interattivo avuto con alcuno artisti Australiani, lo ha infatti trovato pronto all’apertura, anche sotto l’aspetto spirituale, al punto di sfociare nella condivisione della realtà dei “Dreamings”.

Egli ha prontamente introdotto accanto alla “presenze” numeriche che ritmano gli sfondi, quelle semplicemente articolate di colori, rievocatrici del fuso vitale. E la sua dimestichezza con le forme tribali è subito riemersa.

Per quanto riguarda la ricerca dei mezzi tecnici-espressivi di Gelsomino, questa può dirsi tesa all’attraversamento di ogni tappa verso una formazione continua, e non all’ormai comune elucubrazione di concetti propri assoluti.

In questo senso la mostra “Presenze” rappresenta un importante momento del sup percorso: pannelli scavati, sculture tutto tondo, dipinti su tela e su carta, testimoniano la volontà dell’artista di crescere attraverso le esperienze, di no tralasciare… Ne risulta, quasi inconsciamente, una sorta di “globalismo” espressivo di pioneristico contenuto. Lo scopo stesso della mostra è quello di mettere due realtà – l’una romantica, l’altra realistica – in contatto fra loro. Addirittura si cerca di fonderle in un’unica realtà-progetto, e per far questo si ricorre amichevolmente alla musica (piano e strumento australiano).
Il tutto imperniato su una visione dell’arte che tende a eliminare ogni frontiera.